Manifesto

di Alessandro Portelli

RESISTENZA
I nuovi partigiani


«A combattere contro i tedeschi a Porta San Paolo non ci sono andata perché me l'ha detto il partito, ma perché l'ho deciso io» così raccontava Maria Teresa Regard, partigiana.
La Resistenza che comincia in quei giorni e culmina il 25 aprile è una storia di liberazione delle coscienze, prima ancora che del territorio e delle istituzioni: dopo venti anni di credere obbedire e combattere, di «lasciate fare a lui», il meglio dell'Italia riprende in mano il proprio destino e si fa protagonista della propria storia.
Il 25 aprile è in primo luogo rivendicazione di una storia falsata, revisionata e negata.
È di ieri lo sfregio del presidente della provincia di Salerno: la liberazione la dobbiamo solo agli americani. Ma, partigiani a parte, che ne è di inglesi, francesi, polacchi, brasiliani, neozelandesi, nordafricani, nepalesi venuti a morire da noi?
Davvero una festa di libertà deve servire a ribadire ancora una volta un obsoleto servilismo atlantico, oltre che l'ignoranza?
Ma il 25 aprile è anche, forse oggi soprattutto, affermazione di una democrazia partecipata, quella democrazia che fu praticata nella Resistenza armata e non armata di centinaia di migliaia di italiani, che è sancita nei principi fondanti della nostra Costituzione. Questa Resistenza si incarna oggi nella resistenza contro progetti, spesso anche bipartitici, che da cittadini partecipi vogliono ritrasformarci in cittadini governabili; si manifesta nel rifiuto di un liberismo che vede il cittadino solo come individuo isolato e in competizione con tutti gli altri; si esprime nella opposizione alle pretese di restaurare forme di leaderismo carismatico delegato a decidere per tutti; e si materializza nella resistenza contro i rigurgiti discriminatori e razzisti, contro le pretese dei forti di azzerare i diritti di tutti gli altri.
Dicono questo i tantissimi ragazzi che scelgono di iscriversi all'Anpi («partigiani ieri, antifascisti oggi») lo dicono le belle facce di ragazzi in un volantino distribuito nel mio quartiere, che chiedono di tenere aperte le scuole per fare del 25 aprile un giorno di riflessione e di conoscenza invece di una vacanza. Dice questo anche l' ostinata vivacità di un'associazione come l'Arci: evidentemente, di «radicato sul territorio» non c'è solo la Lega. Sono forme di partecipazione sociale che vanno apparentemente controcorrente in un contesto di abbandono dei partiti e di astensionismo elettorale, e che ci fanno capire come che il disincanto non viene da assuefazione e passività ma dalla ricerca di forme di presenza e di rappresentazione politica che prendano il posto di quelle che sono state svuotate e abbandonate proprio da quelle forze politiche che, nate dall'esperienza partecipata dell'antifascismo, avrebbero dovuto coltivarle e invece hanno troppo spesso lavorato attivamente per smontarne la memoria e il senso.
In un'Italia dove sembra che il pluralismo politico si riassuma nelle baruffe interne alla destra, questo 25 aprile rinnovato significa che in tanti non ce la facciamo più a fare solo da spettatori. Come Teresa Regard quel giorno, non possiamo più aspettare che qualcuno ci dica dove dobbiamo andare, che cosa dobbiamo fare. Riprendiamoci la memoria, la democrazia, la partecipazione - e il 25 aprile durerà tutto l'anno.

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domenica 6 marzo 2011

RIVOLTA GLOBALE CONTRO IL NEOLIBERISMO

DI VALERIO EVANGELISTI


carmillaonline.com

Dal Wisconsin al Nordafrica, passando per l'Europa: rivolta globale contro il neoliberismo

Sono state largamente ignorate, in Italia, le proteste esplose nel Wisconsin e nell’Ohio, dopo la decisione di due governatori reazionari di falcidiare i pubblici impiegati (dagli insegnanti agli infermieri) e di limitare i loro diritti sindacali. Nel Wisconsin, a fronte di provvedimenti che avrebbero condotto al licenziamento di migliaia di lavoratori, e lasciato il singolo senza uno straccio di contratto collettivo solo e inerme davanti al padrone, una folla ha occupato il Campidoglio di Madison, capitale dello Stato, defenestrando di fatto le autorità elette. Uno dei leader storici della sinistra americana, il reverendo Jesse Jackson, ha infiammato con i suoi discorsi decine di migliaia di persone. In Ohio i sindacati hanno radunato folle equivalenti (per tenersi informati, leggere The Nation o Mother Jones, organi storici della sinistra Usa).


Qui si era distratti da ciò che sta accadendo nell’area mediterranea, con le rivolte ancora inconcluse di Tunisia, Egitto, Libia, Bahrein, Algeria, Yemen, Oman ecc. C’è chi le legge come insurrezioni generazionali, chi le lega a Twitter e a Facebook, chi le vede come pure insorgenze democratiche. Dall’ “altra parte”, quella ostile ai moti, a destra c’è chi le interpreta alla luce dell’islamismo radicale; a “sinistra” chi vi scorge tracce di rivoluzioni “arancioni” manovrate dalla CIA, da Obama, da occulti centri di potere (si citano Castro e Chávez, senza considerare che i loro paesi assediati cercano alleati dovunque possono).

Con rarissime eccezioni, nessuno riesce a formulare un’analisi di classe. L’unica che potrebbe tenere insieme, in un medesimo quadro interpretativo, le rivolte del Missouri e dell’Ohio con quelle dell’Africa del Nord; e inoltre unirvi la protesta di massa greca, la ribellione – studentesca ma non solo – in Francia, Italia, Gran Bretagna. E mille altri episodi. Siamo in presenza di un nuovo 1967-68. Una ribellione mondiale contro le imposizioni capitalistiche. Il rischio è che, questa volta, nessuno ci faccia caso. Si sono estinte, o godono di minore fortuna, le grandi analisi. Si ripiega dunque su quelle sempliciste: dal puro democraticismo liberale (la rivolta è contro regimi oppressivi) ai deliri detti “geopolitici” cari sia alla sinistra perbene di Limes che ai rossobruni (strano mix politico tra fascisti e comunisti ultra ortodossi).
Eppure la verità è sotto gli occhi di tutti. Si è affermata, a furia di vittorie non solo teoriche, ma anche militari, una dottrina economica universale, il monetarismo. Colloca in posizione centrale il debito statale, che Keynes giudicava secondario rispetto alla produzione concreta e all’effettiva occupazione. Per rimediare al debito, e alla massa di interessi che genera costantemente, servono risparmi eternamente crescenti. Tagliare qui, tagliare là. Soprattutto nel welfare, che genera inflazione e il debito lo fa aumentare.
Prime vittime: i soggetti più deboli, i giovani e le donne (e i dipendenti pubblici, di norma docili ma troppo compatti). Il terzo soggetto debole, i vecchi: li si trattiene al lavoro per compensare la manodopera espulsa o esclusa. Tutto ciò comporterebbe un rischio nel caso che la forza-lavoro reale o potenziale sia organizzata. Per “fortuna” il potere ha il coltello dalla parte del manico. Sceglie gli interlocutori collettivi a seconda della docilità, esclude gli altri. Cancella, forte del suo dominio anche politico, ogni tipo di contrattazione generale. Vuole avere di fronte un lavoratore capace appena di vergare la sua firma sotto un contratto di arruolamento. Pieno di clausole tutte punitive, ma solo per il firmatario.
Il tutto in nome dell’adesione universale a una teoria economica che è anzitutto ideologica. Definire bisogni e ripartizioni di risorse attiene all’economia, designare beneficiari è compito della politica. Il monetarismo fece la sua scelta, trasformò l’economia politica (scienza in sé approssimativa) in ideologia. In economia al servizio della politica. E’ dall’alto che si sceglie chi castigare e chi premiare. Vittime sono le classi subalterne, da scompaginare e ricomporre (1). Sulla base di una teoria niente affatto scientifica, bensì ispirata a una visione gerarchica della società che farebbe rimpiangere l’antica aristocrazia.
Mettiamo dunque le mani su ogni diritto acquisito. L’istruzione, la cultura, il lavoro assicurato, l’ipotesi di una società grosso modo egualitaria, una qualche pensione facilmente calcolabile. Che non ne resti traccia.

Questo accade nel Wisconsin e accade in Italia. Ma che c’entra l’Africa del Nord? Chiaramente le forme dell’insubordinazione assumono aspetti aderenti alle caratteristiche locali, e tuttavia la matrice unificante è ben visibile, per chi la cerchi con un minimo di perspicacia.
Nel Nord Africa regimi tirannici hanno resistito finché non si sono piegati al liberismo, investiti dal vento occidentale. Da quel momento hanno spalancato le porte al capitale straniero, lasciato la forza lavoro in balia di se stessa (nell’immaginario alimentato ad arte appaiono ancora società semi-rurali, mentre il tasso di industrializzazione è altissimo), favorito processi di privatizzazione e di compartimentazione sociale.

Prendiamo il caso della Libia, tanto caro, per ragioni apparentemente opposte, sia alla democrazia borghese (anti Gheddafi) che alla sinistra che ha smarrito la bussola (pro Gheddafi). Se proprio vogliamo personalizzare, Gheddafi è colui che, per fare uscire la Libia dalla scomoda condizione di “Stato canaglia”, passò all’Inghilterra l’elenco dei militanti dell’IRA che si erano addestrati nel suo territorio; che lasciò, dopo il 2001 e soprattutto dal 2003, libero accesso alle risorse del suo paese a multinazionali e a consorzi di rapina bancaria; che si accordò con l’Italia per fare crepare nel deserto, o tenere provvisoriamente in vita, in sudice galere, i migranti dell’Africa continentale che provavano a raggiungere le coste europee. Valentino Parlato dice ora che il Libretto verde di Gheddafi “va letto”. Giusta esortazione: lo legga lui per primo. Poi dica cosa pensa di ciò che Gheddafi afferma delle donne – in pratica puri contenitori di figli futuri – o del cinema, strumento di corruzione in quanto fa vedere cose non vere (meglio il circo, dice il rais, pur con riserva). Parlato è uno dei tanti esempi di chi blatera di ciò che non conosce.
Ma personalizzare è la via peggiore. La Libia non differisce dalla Tunisia, dall’Egitto ecc. perché è la classe più colpita e penalizzata che si leva in piedi. Non islamisti oltranzisti, non nostalgici di regimi precedenti, non esponenti di minoranze tribali (queste componenti ci sono, ma non riflettono l’intero movimento). Si tratta invece di proletari, in maggioranza giovani o giovanissimi, che non riescono a scorgere un futuro possibile, nell’ambito del quadro economico neoliberista dominante. Il fatto che il regime elargisca elemosine, sotto forma di beni di sussistenza a prezzo politico, non li fa uscire dal binario morto in cui sono parcheggiati.
Vale ad Atene, a Parigi, a Roma, a Lisbona, a Tunisi o nel Wisconsin. Fare caso alle bandiere che agitano non serve a nulla: cercano il primo straccio che capita in mano, purché differente dal vessillo ufficiale. Arrivati a metà del guado, attendono una parola coerente per compiere il passo successivo. Non a caso, Stati Uniti, Unione Europea e Israele sono prodighi di consigli interessati. Arrivano a ventilare, almeno per la Libia, l’ennesimo “intervento umanitario”, per impadronirsi delle risorse altrui. Mandano spie e navi da guerra. Tentano un colpo di mano coloniale al minor prezzo possibile.

E’ difficile capire, al momento, come finirà questa lotta. Nascono forme transitorie di governo, oggetto di altre insurrezioni. Il pagliaccio che si è impadronito dello Stato italiano, dopo avere offerto a Gheddafi 500 fotomodelle per una lezione di Corano, ora chiede che si faccia da parte. Teme la ripetizione di ciò che si è visto. Centinaia di migliaia di persone, in piazza e nelle strade, sono capaci di fare cadere un regime. Funziona, gente, funziona.
CGIL, ti decidi o no a proclamare lo sciopero generale?
Valerio Evangelisti
Fonte: www.carmillaonline.com/
Link: http://www.carmillaonline.com/archives/2011/03/003812.html#003812
2.03.2011

(1) Noterella per capirci. Un operaio disoccupato non è meno “operaio” di quello che lavora in fabbrica. Uno studente senza prospettive non è meno proletario del giovane di quartiere. Un addetto al “lavoro immateriale” (ricerca, cultura, ecc.) opera in un settore industriale divenuto portante in varie zone del mondo. Il capitale rimodella di continuo le classi subalterne, a seconda delle necessità. L’essenziale è che diano plusvalore, diretto o indiretto, e non si riconoscano in un’unica compagine portatrice di rivendicazioni.

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=8025&mode=&order=0&thold=0

mercoledì 2 marzo 2011

A SCUOLA DI RIVOLTA !

DI FRANCO BERARDI BIFO
looponline.info

Il governo italiano, in questo perfettamente allineato con le direttive della Banca centrale Europea, sta distruggendo la scuola, e in particolare sta distruggendo l'accademia di Brera nella quale insegno precariamente sociologia della comunicazione. Questa nota è il mio intervento nell'ambito della discussione che si sta svolgendo fra gli insegnanti di quella scuola.

Dovendo iniziare il mio corso a Brera il 14 marzo voglio capire se vale la pena di prepararmi a fare lezione e a svolgere il mio compito, sia pure malissimo pagato e pochissimo rispettato. La risposta questa volta è: no. Sarò a Brera il 14 marzo, ma agli studenti che avranno la cortesia di venirmi ad ascoltare non parlerò, come avevo pianificato e promesso, di ciberculture, ma parlerò di come si organizza una insurrezione. Perché non vi è altro tema che valga la pena di discutere al momento. Non perché il lavoro dei docenti precari è minacciato a Brera. Questo è un problema, però è un problema che in sé non ha soluzione

La riforma Gelmini comporta una riduzione di otto miliardi di euro nel primo anno e altrettanto nel secondo della sua applicazione. Gli effetti ormai si sentono e si vedono dovunque. E siamo solo all'inizio, perché negli anni a venire gli effetti di quell'atto criminale produrrano barbarie, ignoranza, violenza, miseria. E neppure è un problema solo italiano, dato che in Gran Bretagna decine di migliaia di studenti stanno già abbandonando gli studi a causa del fatto che le tasse di iscrizione all'uniuversità sono state triplicate, mentre mezzo milione di lavoratori pubblici attende il licenziamento nell'arco di tre anni, e i tagli preparano una devastazione della società. 
Non ho intenzione di fare una predica, voglio solo dire che il nostro problema non lo risolveremo contrattando con qualche burocrate. Lo risolveremo quando avremo abbattuto la dittatura finanziaria in Europa. E' troppo per le nostre esili forze? Certo che è troppo per le nostre esili forze, ma il problema non è solo nostro. Sono milioni i lavoratori - nell'industria nella scuola nella ricerca, nei servizi - al limite della miseria e della catastrofe. Quando milioni di persone debbono scegliere tra la rivolta e la miseria, tra la lotta a oltranza e la depressione - è il momento di preparare l'insurrezione. E' meglio saperlo, è meglio prepararsi. Dopo di che possiamo accettare l'idea che ciascuno di noi cercherà di cavarsela come può, magari ritirandosi in campagna a coltivare l'orto. Ma è meglio sapere che il nostro futuro, come quello dei nostri studenti non esiste più, a meno che non siamo disposti a rischiare (molto, anche la vita questa volta) per il diritto a insegnare e studiare, per il diritto a un salario decente, e per la dignità. Non serve parlare con i burocrati di Brera, penso che siano esecutori di un disegno di devastazione del quale non possono cambiare neppure i dettagli. Serve occupare una piazza, una stazione, un parlamento, e rimanere lì fin quando il governo della mafia se ne sarà andato, e fino a quando la dittatura Trichet-Sarkozy-Merkel sarà stata abbattuta. 
E' chiedere troppo? Può darsi, ma chiedere di meno non ci porta più da nessuna parte. Il Knowledge liberation front, riunito a Paris Saint denis il 12 Febbraio ha indetto una giornata di teach in nelle banche delle grandi città europee per il 25 marzo. A Londra lo stanno già facendo da alcune settimane: si entra in una banca e la si occupa per farel ezione, per leggere poesie, per parlare di biologia molecolare per stendere i panni, per dormire.

Occupare le banche deve diventare una pratica comune. E' pericoloso? Sì è pericoloso, ma è più pericoloso ancora aspettare che qualcuno risolva il problema. La guerra che il capitalismo finanziario ha dichiarato contro la società è giunta alla stretta finale. Naturalmente non nego che esista uno specifico della questione di Brera, ma la sola cosa da fare, se siamo capaci di farla, è occupare Brera e trasformarla in un centro per le azioni contro la dittatura finanziaria.Mi scuso per l'enfasi un po' tragica. Ma stavolta la tragedia non è un effetto della mia immaginazione.

Franco Berardi Bifo
Fonte:www.looponline.info
Link: http://www.looponline.info/index.php/editoriali/485-a-scuola-di-rivolta
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=8020&mode=&order=0&thold=02.03.2011

sabato 19 febbraio 2011

Speranza (Lettera di un ragazzo di 18 anni)

Ciao,
mi presento, il mio nome è Fabrizio, ho 18 anni. Sono il genere di ragazzo etichettato come troppo saccente, disattento o addirittura pazzo dagli insegnanti. Saccente quando espongo la mia visione delle cose, disattento quando non riesco ad assorbire le balle che loro sono riusciti ad assorbire e pazzo perchè evidentemente sono ad un livello di coscienza diverso dal loro: i miei pensieri, le mie parole e le mie azioni non riescono ad essere decodificate e perciò appaio loro come "strano". Sto incominciando a farci l'abitudine e a considerare l'aggettivo pazzo come una lusinga.

Sono pochi i ragazzi della mia età che riescono ad avvicinarsi seriamente a certe questioni come il sistema del potere attuale, la manipolazione mediatica o comunque tutte le "teorie del complotto", come vengono spacciate. Devo dirti che mi sono avvicinato alla verità dopo un periodo difficile della mia vita, un lungo tempo in cui sono stato depresso e succube di un tipo di medicina che mi voleva tenere artificialmente malato a vita. Ho scoperto un mondo di interiorità grandioso, ho sentito il bisogno di avvicinarmi a questo desiderio di "spiritualità" e attraverso di essa ne sono uscito. Poi mi sono fatto altre domande: perchè sono le persone più intelligenti e sensibili che si ritrovano sempre in questo vuoto, ci sono delle cause nella società? Quanto è reale e non immaginaria, dovuta ad una psicosi, la sensazione di soffocamento che si ha ogni mattina al risveglio! Quello è stato l'inizio, ed ho fatto molti passi da quei giorni, passi nelle più svariate discipline, dalla fisica quantistica, la spiritualità, la medicina "alternativa", le scoperte scientifiche occultate, il sistema bancario a riserva frazionaria, libri sulla società degli illuminati, dei rosacroce, e devo dire che mi sono fatto anche una bella cultura! Una delle mie falla? La storia di questo paese, vorrei veramente una mano da una persona illuminata, nel senso buono del termine, a mettere insieme la storia di questo paese, una mano intesa come un piccolo consiglio in fatto di letture, studi, pagine internet.

Sto lottando con le persone che mi stanno attorno per difendere la mia decisione di non frequentare più la scuola, prendere il diploma in maniera privata per poter accedere alla facoltà di fisica che preferisco. Mi sto già facendo una violenza studiando ciò in cui non credo, buttando il mio tempo studiando la falsa storia della prima e la seconda guerra mondiale, Darwin, "il grandioso impero romano", e così via. Spesso mi viene il vomito. Mi viene il vomito anche pensando che c'è gente indottrinata per bene che agisce in buona fede inculcando questa spazzatura nella mente dei giovani.

Mi è stato detto "devi stare nel sistema per cambiarlo", "hai paura di confrontarti con idee diverse dalle tue". A questo ho risposto, ma il messaggio non è stato recepito, come fa uno studente singolo a cambiare il sistema scolastico dall'interno? I libri di testo scritti da eminenti personaggi, la spazzatura ben confezionata, la retorica di gente che ha passato più di vent'anni su quelle argomentazioni? No, il cambiamento non deve venire da una lotta interna ma dal rifiuto di supportare il sistema. Non sto ammazzando la mia cultura standomene a casa, la sto salvando, e la gente mi crede pazzo. Non ho mai avuto tanto entusiasmo e chiarezza nei miei studi, sto incominciando a mettere insieme tutti i pezzi e non smetterò proprio ora. Se il sistema tirannico vuole che io abbia un diploma per andare a studiare dove voglio, bene, lo prenderò, ma lo prenderò nel modo in cui dico io, e prima avendo salvato la mia mente.

Soffro del modo in cui viene dipinta la mia generazione, decerebrati ipnotizzati davanti allo schermo televisivo, vittime della moda o di qualsiasi altra cosa futile. Gente come me ce n'è, eccome, ma viene soffocata, non viene riportata la loro esistenza. Il resto è la vittima del sistema, non sono così per loro scelta, ma perchè è stata appaltata una struttura che li tiene in quello stato. Quelli invece dipinti come "bravi", quelli che studiano, che non contestano, che mirano al lavoro, al successo, al denaro, di quelli ci dobbiamo preoccupare, sono i futuri sciacalli.

Ciò che vedo è che sono gli "adulti" quelli più assoggettati allo status quo, ne hanno paura, lo temono, pensano sia permanente, o lo adorano, ne sono persino affezionati, se glielo attacchi è come se avessi attaccato un loro parente, il loro cane, la loro casa o la loro religione. C'è chi non vuole vedere, chi non vuole sentire o meglio chi vede o sente solo ciò che vuole o che gli è stato ordinato di percepire. Abbiamo una comunità "adulta" che si comporta da bambina, che chiede il permesso per pensare, che cerca il consenso ovunque e che trasmette questo alle generazioni future.

Io aborro la violenza, e trovo che le manifestazioni di qualche giorno fa a Roma avrebbero dovuto svolgersi in altro modo, non per il bene dei poliziotti, ma per il bene degli studenti e delle loro idee. La violenza chiama altra violenza, è una legge universale. Però, capisco, la rabbia che sta permeando ogni singolo atomo della nazione. Capisco che sta venendo strumentalizzata, è stata addirittura chiamata. E certa gente nelle alte sfere avrà addirittura esultato vedendo lo scontro.
v Ciò che sto facendo io è diverso, capisco questi meccanismi e quindi ne esco. Non voglio che la mia vita venga strumentalizzata. Non voglio che per le azioni di persone disperate, confuse e incazzate nere, le mie idee vengano definite violente, perchè non lo sono. Questo sistema deve cadere ma deve farlo attraverso il risveglio collettivo, l'energia della conoscenza che permea tutto e tutti, l'amore, tutte parole che la popolazione crede essere banali, ma invece sono entità e simboli potentissimi in grado di cambiare le cose. Hanno cambiato la mia vita e cambieranno anche questo pianeta.

A tutti coloro che dicono che i giovani non hanno niente da dire, che vanno educati, che siamo allo sfascio per colpa della negligenza delle nuove generazioni dico di smetterla. E' una menzogna, la nostra voce è forte, vi facciamo paura. Condannate le azioni delle stesse persone che avete programmato. Presto le vostre menzogne saranno chiare come l'acqua.
E agli altri come me dico di unirsi, di non pensare di essere gli unici al mondo che vogliono un mondo diverso e non sono capite. Una voce da sola è inutile mentre tante voci sono un ruggito. Non pensate che sia un utopia perchè questa è l'unica verità. Cercatele dappertutto altre persone come voi, fortemente, e le troverete a fiotti.

Mi scuso se mi sono fatto prendere un po' troppo la mano, ma avevo dentro molte cose che desideravo comunicare. Amo molto il lavoro che stai facendo. Non avere paura delle persone che vogliono spaventarti e sarai libero. 

Fonte: http://paolofranceschetti.blogspot.com
Link: http://paolofranceschetti.blogspot.com/2011/02/lettera-di-un-ragazzo-di-18-anni.html
18.02.2011

Il Partigiano

Passeggiavo in mezzo alla gente
ero pieno di me, mi sentivo importante,
quando per caso scorsi un bambino
ehi! Dissi lui, vieni qua me vicino
gli feci allora alcune domande
dimmi piccino, che farai da grande?
Lui, mi guardo in un modo un po' strano
poi mi rispose... Faro' il Partigiano!

Ricky Merloni 1983

Indifferenti - Antonio Gramsci

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

11 febbraio 1917


martedì 15 febbraio 2011

I Giovani Democratici di Tivoli passano a Sinistra Ecologia e Libertà.


In una intensa e vibrante lettera indirizzata al partito Democratico i Giovani Democratici di Tivoli spiegano perche' hanno deciso di lasciare il partito. Piu' che una lettera di dimissione e' un manifesto, un accorato richiamo alla liberta' ed alla purezza delle idee di fronte ad un mondo svenduto.
Come non condividere i loro sogni ed i loro aneliti?

segue il testo integrale:


I 42 Giovani Democratici di Tivoli passano a Sinistra Ecologia e Libertà. Lettera aperta al Partito Democratico.

pubblicata da PUGLIAmo l'Italia: NICHI VENDOLA candidato premier 2013 il giorno lunedì 14 febbraio 2011 alle ore 5.01


Caro Partito Democratico,

ti scriviamo nella speranza che queste parole divengano un simbolo del disagio e dello smarrimento vissuto da una parte della nostra generazione, quella parte che ha preferito l’azione e la collettività in contrapposizione alla passività e all’isolamento. Quella parte che ha dedicato energia ed impegno alla costruzione più che all’indifferenza.  

 Ti scriviamo nella speranza che queste parole e quest’azione possano accendere in te una profonda riflessione che non lasci spazio a motivazioni sciocche o bizzarre , comodi appigli per giustificare ancora una volta che c’è un po’ di te che se ne va.
Questa volta non si parla di un consigliere che cambia bandiera e non si parla neanche di interessi personali o di vantaggi. Non si parla di

domenica 16 maggio 2010

Perche' questo nuovo Blog?

Perche' l'Italia e' sull'orlo di un baratro, perche' mai come oggi e' importante non dimenticare i valori della Resistenza, perche' abbiamo una storia comune che ci puo' salvare se solo la ricordassimo, perche'... Perche' io Partigiano ci sono nato. Ce l'ho nel sangue!