Manifesto

di Alessandro Portelli

RESISTENZA
I nuovi partigiani


«A combattere contro i tedeschi a Porta San Paolo non ci sono andata perché me l'ha detto il partito, ma perché l'ho deciso io» così raccontava Maria Teresa Regard, partigiana.
La Resistenza che comincia in quei giorni e culmina il 25 aprile è una storia di liberazione delle coscienze, prima ancora che del territorio e delle istituzioni: dopo venti anni di credere obbedire e combattere, di «lasciate fare a lui», il meglio dell'Italia riprende in mano il proprio destino e si fa protagonista della propria storia.
Il 25 aprile è in primo luogo rivendicazione di una storia falsata, revisionata e negata.
È di ieri lo sfregio del presidente della provincia di Salerno: la liberazione la dobbiamo solo agli americani. Ma, partigiani a parte, che ne è di inglesi, francesi, polacchi, brasiliani, neozelandesi, nordafricani, nepalesi venuti a morire da noi?
Davvero una festa di libertà deve servire a ribadire ancora una volta un obsoleto servilismo atlantico, oltre che l'ignoranza?
Ma il 25 aprile è anche, forse oggi soprattutto, affermazione di una democrazia partecipata, quella democrazia che fu praticata nella Resistenza armata e non armata di centinaia di migliaia di italiani, che è sancita nei principi fondanti della nostra Costituzione. Questa Resistenza si incarna oggi nella resistenza contro progetti, spesso anche bipartitici, che da cittadini partecipi vogliono ritrasformarci in cittadini governabili; si manifesta nel rifiuto di un liberismo che vede il cittadino solo come individuo isolato e in competizione con tutti gli altri; si esprime nella opposizione alle pretese di restaurare forme di leaderismo carismatico delegato a decidere per tutti; e si materializza nella resistenza contro i rigurgiti discriminatori e razzisti, contro le pretese dei forti di azzerare i diritti di tutti gli altri.
Dicono questo i tantissimi ragazzi che scelgono di iscriversi all'Anpi («partigiani ieri, antifascisti oggi») lo dicono le belle facce di ragazzi in un volantino distribuito nel mio quartiere, che chiedono di tenere aperte le scuole per fare del 25 aprile un giorno di riflessione e di conoscenza invece di una vacanza. Dice questo anche l' ostinata vivacità di un'associazione come l'Arci: evidentemente, di «radicato sul territorio» non c'è solo la Lega. Sono forme di partecipazione sociale che vanno apparentemente controcorrente in un contesto di abbandono dei partiti e di astensionismo elettorale, e che ci fanno capire come che il disincanto non viene da assuefazione e passività ma dalla ricerca di forme di presenza e di rappresentazione politica che prendano il posto di quelle che sono state svuotate e abbandonate proprio da quelle forze politiche che, nate dall'esperienza partecipata dell'antifascismo, avrebbero dovuto coltivarle e invece hanno troppo spesso lavorato attivamente per smontarne la memoria e il senso.
In un'Italia dove sembra che il pluralismo politico si riassuma nelle baruffe interne alla destra, questo 25 aprile rinnovato significa che in tanti non ce la facciamo più a fare solo da spettatori. Come Teresa Regard quel giorno, non possiamo più aspettare che qualcuno ci dica dove dobbiamo andare, che cosa dobbiamo fare. Riprendiamoci la memoria, la democrazia, la partecipazione - e il 25 aprile durerà tutto l'anno.

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mercoledì 2 marzo 2011

A SCUOLA DI RIVOLTA !

DI FRANCO BERARDI BIFO
looponline.info

Il governo italiano, in questo perfettamente allineato con le direttive della Banca centrale Europea, sta distruggendo la scuola, e in particolare sta distruggendo l'accademia di Brera nella quale insegno precariamente sociologia della comunicazione. Questa nota è il mio intervento nell'ambito della discussione che si sta svolgendo fra gli insegnanti di quella scuola.

Dovendo iniziare il mio corso a Brera il 14 marzo voglio capire se vale la pena di prepararmi a fare lezione e a svolgere il mio compito, sia pure malissimo pagato e pochissimo rispettato. La risposta questa volta è: no. Sarò a Brera il 14 marzo, ma agli studenti che avranno la cortesia di venirmi ad ascoltare non parlerò, come avevo pianificato e promesso, di ciberculture, ma parlerò di come si organizza una insurrezione. Perché non vi è altro tema che valga la pena di discutere al momento. Non perché il lavoro dei docenti precari è minacciato a Brera. Questo è un problema, però è un problema che in sé non ha soluzione

La riforma Gelmini comporta una riduzione di otto miliardi di euro nel primo anno e altrettanto nel secondo della sua applicazione. Gli effetti ormai si sentono e si vedono dovunque. E siamo solo all'inizio, perché negli anni a venire gli effetti di quell'atto criminale produrrano barbarie, ignoranza, violenza, miseria. E neppure è un problema solo italiano, dato che in Gran Bretagna decine di migliaia di studenti stanno già abbandonando gli studi a causa del fatto che le tasse di iscrizione all'uniuversità sono state triplicate, mentre mezzo milione di lavoratori pubblici attende il licenziamento nell'arco di tre anni, e i tagli preparano una devastazione della società. 
Non ho intenzione di fare una predica, voglio solo dire che il nostro problema non lo risolveremo contrattando con qualche burocrate. Lo risolveremo quando avremo abbattuto la dittatura finanziaria in Europa. E' troppo per le nostre esili forze? Certo che è troppo per le nostre esili forze, ma il problema non è solo nostro. Sono milioni i lavoratori - nell'industria nella scuola nella ricerca, nei servizi - al limite della miseria e della catastrofe. Quando milioni di persone debbono scegliere tra la rivolta e la miseria, tra la lotta a oltranza e la depressione - è il momento di preparare l'insurrezione. E' meglio saperlo, è meglio prepararsi. Dopo di che possiamo accettare l'idea che ciascuno di noi cercherà di cavarsela come può, magari ritirandosi in campagna a coltivare l'orto. Ma è meglio sapere che il nostro futuro, come quello dei nostri studenti non esiste più, a meno che non siamo disposti a rischiare (molto, anche la vita questa volta) per il diritto a insegnare e studiare, per il diritto a un salario decente, e per la dignità. Non serve parlare con i burocrati di Brera, penso che siano esecutori di un disegno di devastazione del quale non possono cambiare neppure i dettagli. Serve occupare una piazza, una stazione, un parlamento, e rimanere lì fin quando il governo della mafia se ne sarà andato, e fino a quando la dittatura Trichet-Sarkozy-Merkel sarà stata abbattuta. 
E' chiedere troppo? Può darsi, ma chiedere di meno non ci porta più da nessuna parte. Il Knowledge liberation front, riunito a Paris Saint denis il 12 Febbraio ha indetto una giornata di teach in nelle banche delle grandi città europee per il 25 marzo. A Londra lo stanno già facendo da alcune settimane: si entra in una banca e la si occupa per farel ezione, per leggere poesie, per parlare di biologia molecolare per stendere i panni, per dormire.

Occupare le banche deve diventare una pratica comune. E' pericoloso? Sì è pericoloso, ma è più pericoloso ancora aspettare che qualcuno risolva il problema. La guerra che il capitalismo finanziario ha dichiarato contro la società è giunta alla stretta finale. Naturalmente non nego che esista uno specifico della questione di Brera, ma la sola cosa da fare, se siamo capaci di farla, è occupare Brera e trasformarla in un centro per le azioni contro la dittatura finanziaria.Mi scuso per l'enfasi un po' tragica. Ma stavolta la tragedia non è un effetto della mia immaginazione.

Franco Berardi Bifo
Fonte:www.looponline.info
Link: http://www.looponline.info/index.php/editoriali/485-a-scuola-di-rivolta
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=8020&mode=&order=0&thold=02.03.2011

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